Next stop: Bologna: Intervista a Fabrizio Rinaldi

di Mario Palomba

Oggi dedichiamo un piccolo spazio a Fabrizio Rinaldi (aka linuz90), vincitore dell’ultima edizione del videocontest Next stop: Bologna, all’interno della manifestazione Univercity – Expo Città per gli Studenti, nata per presentare la città, le sue istituzioni e i suoi servizi agli studenti. Il videocontest è stato creato per la realizzazione di cortometraggi destinati a promuovere Bologna e la sua Università.

Allora Fabrizio, intanto dicci chi sei.

Sono Fabrizio Rinaldi, ma sul web mi conoscono come linuz o, peggio, linuz90, che è il mio username praticamente ovunque (su Twitter come, appunto, su Userfarm). Non sarei in grado di descrivermi in modo esaustivo e comunque non voglio annoiare nessuno. Brevemente, sono un filmmaker – dirò ‘regista’ dopo aver girato il mio primo corto, ora in fase di pre-produzione – un podcaster, un blogger (ma ormai chi non lo è?) e un runner. Nel tempo restante sono uno studente del DAMS cinema qui a Bologna, ormai alle ultime battute. Cerco di non prendermi troppo sul serio, mentre prendo molto sul serio quello che faccio, di qualunque cosa si tratti.

Come si è svolto il contest?

Questa volta è stato tutto molto frenetico: sono stato contattato da Userfarm perché avendo già caricato sul sito due video, entrambi selezionati, vengo considerato ‘filmmaker pro’. I tempi erano strettissimi e stavo per rispondere negativamente, ma all’ultimo momento ci ho ripensato e ho contattato i miei amici Daniele Bisceglia, Francesco Gentili e Gaetano Narducci per proporre la cosa. A quel punto ho ufficializzato l’adesione al contest tramite la pagina ufficiale su Userfarm (è sufficiente registrarsi per partecipare ad un contest come questo) e non appena ci siamo ritrovati tutt’e quattro a Bologna, ci siamo messi all’opera. Una volta caricato il video, ero in gara per il premio di 1000€. A quel punto mancavano poche ore alla fine del contest.

Con quali attrezzature hai girato il video?

Abbiamo girato con la mia Canon 600D, una reflex quindi, e non credo di dover spiegare come e quanto oggi siano utilizzate le DSLR (digital single-lens reflex) nel mio mestiere. Le ottiche, le luci e le altre attrezzature sono state portate sul set – ovvero casa mia – dal buon Daniele Bisceglia, a cui mi affido anche perché manovra steadycam, spallacci e crane molto molto bene. Guardando un prodotto finito, soprattutto uno “piccolo” come il nostro, è difficile rendersi conto del lavoro che ci può essere dietro una singola inquadratura apparentemente banale. Non mi stancherò mai di ripeterlo.

In piedi, da sinistra a destra, Francesco Gentili, Gaetano Narducci e Daniele Bisceglia. Seduto al centro, Fabrizio Rinaldi

 

Anche scegliere i giusti compagni d’avventura per la realizzazione del video è una cosa importante. Come vi siete divisi il lavoro?

Credo che parte del successo del video sia dovuto proprio all’equilibrio perfetto che si è creato tra i pochissimi membri del nostro team. Le cose si sono evolute spontaneamente da quando ho proposto ai ragazzi di partecipare al contest. In fase di ideazione e scrittura, a volte mi chiedevo se una certa trovata potesse funzionare o meno, e per esempio non dovevo spiegare nulla a Gaetano per chiedergli un parere, visto che mi bastava dire una parola e accennare un gesto o un’espressione per avere un feedback immediato. La sintonia era totale. Se mi veniva in mentre la luce adatta per una certa inquadratura, Daniele metteva in piedi il tutto senza aver bisogno di lunghe spiegazioni. Quando ho immaginato le espressioni di Gianfranco, non ho dovuto fare il minimo sforzo per far sì che Francesco si trasformasse nell’interprete perfetto per quel ruolo in pochi minuti. Ognuno sapeva cosa fare, come farlo e quando farlo. Questo è possibile in un gruppo in cui ognuno pensa solamente ad una cosa: il prodotto finito, o la storia da raccontare, ma è la stessa cosa.

Come ci si sente dopo che un proprio video ha vinto un contest così importante?

È inutile cercare di nascondere l’entusiasmo e la soddisfazione che si provano nel vedere premiato un proprio lavoro. In questo caso, l’opera è un piccolo tributo alla città che amo e a premiarlo è stata, in un certo senso, la città stessa, quindi sono particolarmente soddisfatto del risultato. Il premio in denaro è importante – mentirei dicendo il contrario – ma l’avventura di realizzare in poco tempo un progetto di questa qualità, raggiungere il traguardo e “salire sul podio”, valgono più di qualunque premio in denaro. Magari non proprio qualunque, ma ci siamo capiti.

Di sicuro eri avvantaggiato grazie all’esperienza fatta l’anno scorso.

Certo. Anche se l’anno scorso non fui coinvolto (al 100% per ragioni geografiche nella fase di ideazione/scrittura), quel lavoro fu estremamente gratificante per mille ragioni diverse. Devo dire però che quello che abbiamo realizzato quest’anno, avendolo seguito dal principio fino alla fine, lo sento decisamente più mio. L’esperienza di produzione di Bononia ha avuto un significato speciale per noi perché ha fatto nascere un gruppo di amici e ci ha messi per la prima in relazione a livello tecnico e creativo. Daniele Bisceglia, Francesco Gentili e Gaetano Narducci facevano parte del team, è così che ci siamo conosciuti. Insomma, anche se non si trattava di un progetto ambizioso come quello realizzato quest’anno, è stato un importante primo passo per tutti noi. Senza Bononia, non esisterebbe Io, Bologna dipendente.

Il video che hai presentato quest’anno al contest si chiama, appunto, Io, Bologna dipendente. Questo significa che anche tu sei un “Bologna dipendente”?

In realtà il video non ha un vero e proprio titolo. Il lavoro è stato così frenetico che non c’è stato un momento in cui ci siamo detti “Ok, decidiamo che titolo avrà il video”. Alla fine del montaggio, infatti, l’ho caricato su Userfarm col titolo “Non potrete più farne a meno”, che è lo slogan del progetto, mentre su YouTube ho caricato la Director’s Cut col titolo Gianfranco è un Bologna-dipendente. Ma è stata Eva Pedrelli per Repubblica a dare al video il miglior titolo che potesse avere, ovvero “Io, Bologna dipendente”. Come mi hanno fatto notare i miei genitori – che non ringrazierò mai abbastanza per avermi sempre aiutato, anzi spinto, ad inseguire le mie passioni a prescindere da tutto e tutti – è chiaro che questo video mette a nudo la mia personale dipendenza da questa città, di cui non potrei letteralmente fare a meno per diverse ragioni. Elencarle tutte sarebbe impossibile, ma chiunque sia stato qui sa a cosa mi riferisco. E’ un posto al quale è molto difficile non restare legati ‘affettivamente’.

Nell’intervista per Statoquotidiano.ittraspare molto l’attaccamento di tutto il gruppo alle proprie radici. 

Siamo persone legate ai propri luoghi non solamente in senso geografico, ma anche e forse soprattutto in senso culturale. Credo che ognuno di noi cerchi di prendere il meglio dalla sua terra, e in qualche modo di restituire ad essa qualcosa in cambio. Potrei, e forse dovrei, cantare leggermente fuori dal coro dicendo, come ho già fatto nell’intervista da te citata, che nonostante questo legame con la mia terra, nel mio lavoro cerco di ispirarmi a ciò che mi è più estraneo ma vicino per altre ragioni, che possono essere estetiche, emotive, sentimentali, ideologiche. Non voglio rischiare, infatti, modellando il mio lavoro sulla cultura “locale” della mia terra, di non produrre contenuti davvero originali e raccontare storie nuove.

E la scelta di studiare al DAMS da dove nasce?

Nella mia famiglia ci sono diversi elementi “damsiani”, quindi potremmo dire che era destino che ci finissi anch’io. Ho sempre avuto qualche riserva sullo studio universitario in quanto sono una persona molto legata alla tecnica, e ho imparato fare quello che faccio sostanzialmente da autodidatta. Nonostante questo, ammetto che gli studi universitari mi hanno trasmesso un approccio misurato e pensato alle cose. Inoltre, anzi soprattutto, mi hanno fatto scoprire interessi specifici che forse non avrei mai sospettato di avere. Per dire, anche se la multimedialità e la comunicazione mi hanno sempre affascinato, è stata la ricchezza dei miei studi a farmi apprezzare davvero tutto ciò che scaturisce da questi ambiti e soprattutto cosa produce i loro contenuti. Per esempio, non avrei mi scoperto i convegni Media Mutations, solo uno dei tanti esempi di come si possono approfondire questi interessi. Se mi chiedessi se avrei voluto avere più tempo per realizzare video e scrivere sceneggiature, ti risponderei “certo che sì”, ma ti risponderei anche che i video e le sceneggiature che scriverò per il resto della mia vita saranno influenzate e nutrite anche da quanto ho appreso al DAMS. Ecco perché, tornando indietro, farei la stessa scelta.

Che consigli daresti ai tuoi colleghi “damsiani” che vogliono intraprendere la strada di videomaker?

Prima di tutto un invito: non perdete tempo a mettere in piedi un gruppo super-professionale con sito web, video blog su YouTube o chissà cos’altro. Fatevi venire in mente molte idee, e scartatene moltissime. Le buone idee si rivelano a noi perché rimbalzano nella nostra testa anche quando abbiamo altro a cui pensare, cioè quasi sempre. Le riconosciamo perché ci inseguono, ci perseguitano a volte. Le idee sono tutto, fare video perché è una cosa “cool” e lo fanno anche gli altri non serve a nulla. Non fatelo per le visualizzazioni, per i soldi, per i “Mi piace”. Fatelo perché vi piace farlo, sapete farlo (o almeno state imparando) e avete qualcosa da dire. Non scordatevi mai che l’obiettivo finale di un video deve essere quello di raccontare una storia, grande o piccola che sia. Pensate a quello che volete raccontare, e come volete raccontarlo, in ogni fase del lavoro. Tutto il resto è secondario, anche i soldi. Tutt’ora stiamo aspettando il premio del contest, non scordiamoci che siamo in Italia e i tempi sono molto, molto, lunghi. Ma nel frattempo stiamo già pensando al prossimo video. Anzi, ai prossimi.

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